sabato 5 dicembre 2009

Conferenza di Don Fulvio Berti, tenuta oggi pomeriggio a Novi Ligure





IL SIGNIFICATO AUTENTICO DELLA CROCE

Cos’è il Crocifisso? Una raffigurazione della morte di Nostro Signore Gesù Cristo. E la morte di Cristo, Verbo di Dio incarnato, è il sacrificio che compie la redenzione definitiva degli uomini per mezzo dell’”Agnello che toglie i peccati del mondo” (Gv 1,29). Questo sacrificio di Cristo è unico: compie e supera tutti i sacrifici. È dono di Dio Padre che consegna il Figlio per riconciliare noi con lui. Nel medesimo tempo è offerta del Figlio di Dio fatto uomo che, liberamente e per amore, offre la propria vita al Padre suo nello Spirito Santo per riparare la nostra disobbedienza. È proprio questo amore “fino alla fine” (Gv 13,1) che conferisce valore di redenzione e di riparazione, di espiazione e di soddisfazione al Sacrificio di Cristo.

“La sua (di Gesù Cristo) passione sul legno della croce ci meritò la giustificazione”, insegna il Concilio di Trento, sottolineando il carattere unico del sacrificio di Cristo che è “causa di salvezza eterna” (Eb 5,9). E la Chiesa venera la croce cantando “Ave, o croce, unica speranza”.


Nella celebrazione del Santo Sacrificio della Messa Gesù Cristo, sotto le specie del pane e del vino, si offre dal sacerdote a Dio all’altare in memoria e rinnovazione del Sacrificio della croce. Tra il Sacrificio della Croce e quello della Messa vi è questa differenza: Gesù Cristo sulla croce si sacrificò dando volontariamente il proprio sangue e meritò ogni grazia per noi; invece sull’altare Egli, senza spargere sangue , si sacrifica e si annienta misticamente attraverso il ministero del sacerdote, e ci applica i meriti del sacrificio della croce.


1. Il Crocifisso nelle aule? Un falso problema.


Ho voluto richiamare per brevi cenni la dottrina cattolica della Redenzione che potrete trovare in maniera compiuta nel capitolo secondo della sezione seconda del Catechismo della Chiesa Cattolica perché è la premessa necessaria per parlare secondo verità del Crocifisso. Si è troppo insistito sulla dimensione culturale del Crocifisso: è limitante dire che il crocifisso ha una mera valenza culturale, in ultima analisi è falso e pericoloso in quanto le culture sono mutevoli, mentre il valore del crocifisso rimane in eterno.


È, a mio giudizio, illuminante sul problema che stiamo trattando, un analisi del sociologo Franco Garelli riportata in un articolo del p. Mucci dal titolo “L’interpretazione soggettiva della fede” apparso su Civiltà Cattolica del 7 novembre.


L’autore dopo aver constatato una generale riviviscenza della religione e della Chiesa Cattolica nella società contemporanea, notava che a questo si accompagnano «depotenziamento della fede, stemperamento delle credenze, discontinuità della pratica, scivolamento dei valori religiosi sempre più sullo sfondo dell'esistenza»; soprattutto, valori che «sono esposti ad una marcata interpretazione soggettiva». Riferendosi all'Italia, Garelli parla di un soggetto umano che vive normalmente secondo «un copione profano», ma vuole essere garantito e rassicurato da «un faro ultimo di significato». Esiste dunque uno «scollamento tra riferimenti ultimi e scelte contingenti», che si risolve in una pura strumentalizzazione della religione alle necessità psicologiche e pratiche del soggetto.


Ecco il problema del Crocifisso: una società che ha buttato a mare da tempo i valori del Cristianesimo ora si aggrappa alla difesa della Croce, considerandola più un soprammobile, che il simbolo della vera religione, più un oggetto d’arredamento che lo Strumento della salvezza del mondo.


È questo il soggettivismo nel suo significato più proprio, la tendenza a ridurre ogni giudizio a un atto di coscienza soggettiva a cui non corrisponde nulla di adeguato nella realtà. Ogni valore di verità o di bene è collocato in ciò che si pensa o si desidera, senza alcun aggancio ad una norma oggettiva. Da ciò segue che, in morale, la distinzione tra bene e male non è oggettiva. Si è venuto formando per questa via, anche in Italia, un tipo di uomo che si dice religioso e cristiano senza avvertire la convenienza e il dovere di conformare la sua fede alla fede oggettiva della Chiesa, senza avvertire il dovere di uniformare a questa fede la sua vita morale. Come diceva Benedetto Croce, l'uomo si foggia in tal maniera «il suo Dio, il Dio che gli è adeguato». E, se quest'uomo è cattolico, entra nel novero di coloro che appartengono con riserva alla Chiesa: non hanno rinnegato formalmente la fede, ma non la accettano integralmente, come è espressa nei documenti del Magistero; non si sono completamente distaccati dalla pratica della morale cattolica, ma non la vivono integralmente. Si fanno un Dio a loro talento.


Resta quella che Garelli chiama “religione dello scenario”, e che noi potremmo oggi chiamare “religione del Crocifisso in aula”, ricordo e nostalgia di un'esistenza altra, antica, che fa da sfondo all'esistenza corrente, lontano e improbabile riferimento a cui aggrapparsi. Intanto, i contenuti della fede e della morale che essa ispira si stemperano man mano che vengono reinterpretati da questo io compromesso e cristianamente alterato. La postmodernità sembra aver accantonato l'ateismo teorico. Si diffonde al suo posto un'indifferenza che sa di presunzione critica di un soggetto che accetta o rifiuta a seconda delle sue impressioni o sensazioni.


E allora, se le cose devono rimanere così, diciamo grazie a questa signora che ha presentato ricorso alla Commissione Europea dei Diritti dell’uomo: ci permetterà di essere meno ipocriti nel nostro vivere quotidiano.


D'altronde che ci sta a fare il crocifisso in un’aula scolastica dove si insegnano verità contrarie alla fede, dove un insegnante di religione cattolica ha l’ardire di negare la verginità di Maria Santissima? Che ci sta a fare il crocifisso in un’aula di tribunale dove si sovverte la legge di Dio e si pratica il divorzio? Che ci sta a fare il crocifisso in un ospedale dove ci si fa padroni della vita al posto di Dio e ci si fa padroni della vita e della morte dei Suoi figli sofferenti o ancora da nascere?


Un caso di attualità: la legge sull’utilizzo della RU486. Qualche sedicente cattolico ha salutato come positivo il fatto che il suo utilizzo sia limitato alle strutture ospedaliere. È come se, al tempo del nazismo, qualcuno si fosse detto soddisfatto per aver convinto Hitler a sterminare gli Ebrei solo all’interno dei campi di concentramento, invece che per strada; nelle case o nei campi di concentramento sempre di genocidio si tratta. E nel nostro caso, sia negli ospedali, che in un ambiente privato, sempre di pesticida umano si tratta.


Giovanni Paolo II, continuando il costante insegnamento della Chiesa, ha più volte ribadito che quanti sono impegnati direttamente nelle rappresentanze legislative hanno il «preciso obbligo di opporsi» ad ogni legge che risulti un attentato alla vita umana. Per essi, come per ogni cattolico, vige l’impossibilità di partecipare a campagne di opinione in favore di simili leggi né ad alcuno è consentito dare ad esse il suo appoggio con il proprio voto: è quanto afferma senza possibilità di equivoco la Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica emanata dalla Congregazione per la dottrina della fede il 24 novembre 2002.


Poiché la fede costituisce come un’unità inscindibile – prosegue ancora la medesima Nota – non è logico l’isolamento di uno solo dei suoi contenuti a scapito della totalità della dottrina cattolica. Né il cattolico può pensare di delegare ad altri l’impegno che gli proviene dal vangelo di Gesù Cristo perché la verità sull’uomo e sul mondo possa essere annunciata e raggiunta.


2. Una soluzione, l’unica possibile


Ritengo di aver sufficientemente dimostrato che il problema del Crocifisso, per un cattolico, non è un problema culturale, ma di fede e di coscienza perché dice la coerenza tra la fede professata e quella realmente vissuta. Lasciamo pure ad altri il compito di difendere il valore culturale del Crocifisso, noi – senza disprezzare la cultura e fermamente convinti che un’autentica cultura cristiana e cattolica nasce solo da una fede profondamente e coerentemente vissuta – lo difendiamo per motivi ben più alti, ben più nobili, ben più veri: lo difendiamo perché da Lui dipende la nostra salvezza eterna.


È triste dirlo, ma dobbiamo difenderlo non dai non cristiani, non dagli atei, ma dai sedicenti cattolici, innanzitutto: d’altronde già il beato Pio IX diceva che l’autentico pericolo per la Chiesa non è il comunismo, ma sono i cattolici liberali. Forse proprio per questo il Servo di Dio Giovanni Paolo II ha voluto proclamare patrono dei cattolici impegnati in politica S. Tommaso Moro, il cancelliere di Enrico VIII che non aderì allo scisma anglicano e preferì essere decapitato piuttosto che abiurare la fede cattolica.


Un vero cattolico non rinuncia mai alla discussione, ma a lui è chiaro che se egli discute non lo fa per scoprire la Verità bensì per farLa trionfare, non per metterLa ai voti ma per convertire le anime a Gesù Cristo. E ovvio che se noi parliamo di discussione, lo possiamo fare solo in questa prospettiva la quale in ultima analisi è prima una prospettiva di verità e poi di carità.


Oggi più che mai questa discussione è doverosa: si tratta di testimoniare. È cambiato lo scenario, il clima è certo più ostile che in passato, ma ciò che Dio ci chiede è di continuare a testimoniare, e, proprio perché i tempi sono cattivi, come dice San Paolo, in maniera ancor più forte oggi di ieri. Non si tratta di contenuti astratti e complicati, ma della fede cattolica pura e semplice. Esattamente ciò di cui l'uomo contemporaneo come l'uomo di qualunque epoca ha bisogno.


Il comando di Cristo è chiaro “Andate fino agli estremi confini della terra e fate mie discepole tutte le nazioni”: questo dobbiamo fare, dobbiamo fare in modo che Cristo regni non solo nelle coscienze, ma sul mondo e sulla società perché il mondo è già suo: lui lo ha creato e lui ne è provvidente, lui lo giudicherà alla fine dei tempi dando a ciascuno il premio o il castigo eterno in base al nostro operato in vita, anche nei pensieri o delle omissioni. È questa la prima, unica ed autentica carità che il cattolico può dare al mondo, perché Gesù Cristo non è una verità tra le tante, ma è la verità. Non può essere un privilegio quello di Dio di regnare sul mondo e sullo stato, è un suo diritto e l’uomo non può negare a Dio i suoi diritti, se non vuole sovvertire l’ordine e la legge eterna.


È il laicismo l’errore di fondo, il voler confinare la religione alla sfera dell’opinabile e del privato: fin quando il Cattolicesimo è stato religione di stato il crocifisso era lì, testimone di una verità eterna ed immutabile, di cui anche lo stato era doverosamente testimone e collaboratore. Ci si è vergognati di dire che il nostro è uno stato cattolico, godiamone allora i frutti. Siamo passati dalla tolleranza religiosa all’indifferentismo religioso, con i risultati deleteri che sono sotto gli occhi di tutti.


Ecco in estrema sintesi ciò che dobbiamo testimoniare. Si tratta di un programma semplice: Dio non ci chiede necessariamente di diventare grandi intellettuali, ma certamente ci chiede di testimoniare la fede, il primo e il più grande dei suoi doni, in modo eroico e senza indietreggiare davanti a nulla.


Tuttavia per ottenere questa fedeltà non bastano le buone convinzioni: è indispensabile l'aiuto della grazia e che le nostre anime siano piene di carità verso Nostro Signore e verso il prossimo.


Solo a queste condizioni, se cioè noi cattolici per primi saremo riusciti a testimoniare e a rispettare i diritti di Dio nella società e nel mondo, potremo batterci perché vengano rispettati i segni della nostra identità.


Don Fulvio Berti

Novi Ligure, 5 dicembre 2009