martedì 7 dicembre 2010

L'Immacolata "Più su del perdono" di Inos Biffi


Più su del perdono


di Inos Biffi

"Non c'è da stupirsi, scrive sant'Ambrogio, che Dio, accingendosi a redimere il mondo, abbia iniziato la sua opera da Maria, così che la prima a cogliere dal Figlio il frutto della salvezza fosse colei per mezzo della quale veniva preparata la salvezza per tutti" (Expositio evangelii secundum Lucam, II, 17). Per tutti la grazia proviene dalla Croce di Cristo, anche per Maria di Nazaret. A lei, tuttavia, non giunse, come a ognuno di noi, nella forma di purificazione che deterge dalla macchia del peccato originale, ma come preservazione da essa.

La Vergine fu eletta da Dio come preventivamente redenta dal sacrificio del Calvario. La sua storia non incomincia con le tracce lasciate dalla colpa di Adamo, ma subito con i segni della grazia di Cristo, che dall'inizio la sottrasse a ogni impronta o influsso del male.

Noi tutti dall'eternità siamo apparsi al pensiero di Dio come dei riscattati dalla contaminazione; Maria, invece, come incontaminata.

Se poi intendiamo la grazia come conformità a Gesù Redentore, allora diciamo che, mentre tutti gli uomini sono apparsi o appaiono nel mondo difformi da lui, Maria in nessun momento mai conobbe alterazione o dissomiglianza da Cristo. Come canta la Chiesa: "Sei tutta bella, Maria, e non c'è macchia di peccato originale che ti contamini (Tota pulchra es, Maria, et macula originalis non est in te). O secondo le precise espressioni della Bolla di Pio IX Ineffabilis Deus che in questi termini definiva il dogma dell'Immacolata Concezione: "La beatissima vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista dei meriti (intuitu meritorum) di Gesù Cristo salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale".

I meriti, quindi, della Croce, pur non ancora elevata nella storia, già irraggiarono e operarono alla prima comparsa di Maria nel mondo: bastò il loro intuitus, a creare in lei la redenzione.

A ben vedere, in questa definizione la fede della Chiesa ha colto tutto il senso incluso nel saluto dell'angelo all'annunciazione: "Rallégrati, o piena di grazia", "O tu che da sempre sei l'immensamente amata". Che se un tale genere di saluto suscita in Maria un profondo turbamento, l'angelo la rassicura. Non deve temere. Essa è da sempre la "favorita" di Dio, "ha trovato grazia presso di lui". E proprio per questa grazia concepirà "il Figlio dell'Altissimo", diventando "la madre del Signore", come dirà Elisabetta, anticipando il dogma del concilio di Efeso: "A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?" (Luca, 1, 43).

D'altronde, il motivo della pienezza di grazia in Maria, il motivo del suo essere salvaguardata dal contagio universale, è la divina maternità della Vergine: la sua elezione a stringere e a vivere con Dio la relazione più intima e unica. Lei sola, tra tutte le creature, volgendosi all'Unigenito del Padre celeste, può esclamare: "Tu sei mio Figlio".

E tutto avviene come dono dello Spirito che scende e si libra su di lei, rinnovando la primitiva creazione, e per la virtù dell'Altissimo, che la ricopre della sua ombra, ad attestarne la presenza, come l'antica nube luminosa l'attestava nell'arca.

Nella verginità feconda di Maria rifulgono la potenza di Dio e la gratuità dello Spirito. Cristo è pura grazia. E Maria ne è consapevole. Essa non ha meriti da vantare. Deve solo esultare e magnificare l'onnipotenza di Colui che misericordiosamente ha rivolto lo sguardo alla sua piccolezza.

Né per questo Maria si limita a essere uno strumento inerte e ignaro. Al contrario: la Vergine corrisponde all'inimmaginabile favore di Dio con l'accoglienza solerte della fede e l'operosa docilità dell'ancella, totalmente dedicata e cooperante all'eterno disegno divino: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la sua parola" (Luca, 1, 38).
Gesù Cristo, che è personalmente la Grazia, viene a noi mediante Maria: come sorprenderci se amiamo chiamarla mediatrice di ogni grazia?

Chi seppe cantare mirabilmente l'innocenza di Maria fu Alessandro Manzoni nelle tre strofe che concludono l'inno sacro incompiuto Ognissanti, dove in modo felice si fondono poesia e teologia.

Nella potenza infinita del suo amore, Dio ha custodito la Vergine da qualsiasi macchia di ogni peccato: essa non passò attraverso il perdono e fu salvata da ogni contagio dell'insidioso e avverso Serpente: "Tu sola a Lui festi ritorno / Ornata del primo suo dono; / Te sola più su del perdono / L'Amor che può tutto locò / Te sola dall'angue nemico / Non tocca né prima né poi".

Soltanto su noi quest'angue è riuscito indecentemente vincitore: "appena su noi / L'indegna vittoria compiè". Secondo la profezia della Genesi, il suo capo orgoglioso fu invece schiacciato dal piede incontaminato della Vergine: "Traendo l'oblique rivolte, / Rigonfio e tremante, tra l'erba, / Sentì sulla testa superba / Il peso del puro tuo piè": un "angue nemico" che, sopravvenendo sinuosamente, turgido e spaurito, tra l'erba, richiama il verso virgiliano: Latet anguis in herba (Eclogae, III, 93), e quello dantesco: "Occulto come in erba l'angue" (Inferno, VII, 84) con l'altro: "Tra l'erba e' fior venìa la mala striscia, / volgendo ad ora ad or la testa, e'l dosso / leccando come bestia che si liscia" (Purgatorio, VIII, 100-102).

La festa dell'Immacolata è la celebrazione del mondo eternamente ideato nella grazia di Gesù Redentore, pienamente ed esemplarmente raccolta nella santità intatta di Maria, la Madre di Dio. Non altro che questa grazia, scaturita dalla Croce e sublimata nella gloria, la Chiesa è chiamata ad annunziare: è la sua evangelizzazione, antica e sempre nuova.
(©L'Osservatore Romano - 8 dicembre 2010)