lunedì 27 giugno 2011

Il «Cristo in gloria» dei Musei Vaticani è stato riconosciuto come opera di Antonio Allegri. "L’Alfa e l’Omega di Correggio"




Il «Cristo in gloria» dei Musei Vaticani
è stato riconosciuto come opera di Antonio Allegri

L’Alfa e l’Omega di Correggio


di Antonio Paolucci
Lunedì 27 giugno ai Musei Vaticani si è tenuta la conferenza stampa di presentazione degli studi che hanno accertato l’attribuzione ad Antonio Allegri detto il Correggio del Cristo in gloria, proveniente dal Trittico di Santa Maria della Misericordia e proprietà della Santa Sede dal 1832. Pubblichiamo integralmente l’intervento del direttore dei Musei Vaticani e alcuni stralci di altre relazioni.

Nella Pinacoteca Vaticana, acquisito al patrimonio della Santa Sede nel 1832, si conserva un quadro di straordinaria qualità e di inusuale iconografia. Rappresenta il Cristo a figura intera, assiso su una gloria di nuvole e di angioletti che trasfigurano in nuvole. Sono nuvole sostanziate di spiriti incorporei, secondo l’idea bellissima che per primo aveva messo in figura Raffaello nella Disputa del Sacramento e nella Madonna di Foligno. Il Cristo, apre le braccia in un gesto d’amore. Il suo sguardo è benevolo, comprensivo, trascendente e tuttavia affettuoso come di chi sa tutto, tutto comprende e tutto perdona. L’Onnipotente in gloria dell’antica iconografia cristiana, il Vivente degli ultimi giorni, Colui che viene sulle nubi del cielo a giudicare i vivi e i morti, è diventato il Misericordioso, il Consolatore degli afflitti, il Fratello che accoglie i fratelli in un abbraccio infinito.

Gli iconografi e gli storici della Chiesa potranno spiegare come è potuta avvenire una mutazione così radicale e così carica di significati. Come e perché — intendo dire — l’immaginario religioso dei credenti è transitato, nel giro di pochi secoli, dalle Deesis terribili, bizantine e romaniche (il Cristo apocalittico dei mosaici del Battistero di Firenze, di Cefalù, di Monreale) a questo Giudice celeste che sembra aver dimenticato la severità del suo ruolo per chiedere soltanto di accogliere, di capire, di consolare, di perdonare.

Io non sono un teologo né uno storico della Chiesa. Lascio ad altri, quindi, riflessioni e considerazioni di questo genere. Sono uno storico dell’arte e da storico dell’arte mi soffermo di fronte al dipinto della Pinacoteca Vaticana: una tela di misura mediana, centimetri 105 per 98, inventario n. 40.634.

Correggio - Madonna and Child in Glory

La tradizione critica novecentesca lo dice copia antica da un originale capolavoro che Antonio Allegri detto il Correggio dipinse negli anni fra il 1526 e il 1530 per la Confraternita della Misericordia della sua città. Anche se tutti quelli che si sono occupati di questo dipinto ne hanno sempre sottolineato l’alto livello qualitativo, nessuno fino a oggi lo aveva studiato sul serio. La sua stessa collocazione in Pinacoteca era ed è marginale. Ai visitatori che percorrono quel segmento dei Musei Vaticani, fra Caravaggio e Raffaello, e che al Cristo in gloria dedicano uno sguardo fugace, non vengono forniti supporti utili a capire che quello, forse, è un quadro molto importante. Addirittura, il cartellino che sta sotto il dipinto offre una didascalia che più generica e malinconica di così non potremmo immaginare: «prima metà del secolo XVI».

Che il dipinto si collochi nella prima metà del Cinquecento e, per evidenza stilistica, nel terzo decennio di quel secolo, è indubbio. Ciò che però sta emergendo con flagrante evidenza al punto di apparirci altrettanto indubbia, è la autografia del Correggio.

Procediamo con ordine. Perché oggi possiamo dire con ragionevole certezza che quella tela appartiene all’autore della Danae Borghese e delle cupole di Parma? Per la qualità della resa pittorica, prima di tutto.

I nostri maestri (Longhi, Zeri e via dicendo) ci hanno insegnato che il primo documento per capire l’opera d’arte è l’opera stessa. Di fronte alla tenera carne di putti che sembrano impastati di latte e di miele, di fronte allo sfondo dorato palpitante di profili perduti, di figurine evanescenti e tuttavia esattamente individuate nella loro angelica consistenza, di fronte al panno che copre la parte inferiore del corpo di Cristo e che ci appare grande come il cielo, vivo come le nuvole che diventano apostoli nella volta del San Giovanni Evangelista a Parma, è impossibile non riconoscere la qualità suprema di invenzione e di esecuzione.

Se di copia si tratta bisogna immaginarla eseguita da un artista altrettanto grande. Da Annibale Carracci, per esempio, da qualcuno cioè che per affinità culturale, per empatia di pelle e di temperamento poetico, era in grado di interpretare Correggio, di «entrare» nella sua pittura fino a identificarsi con quella. Era ciò che io ho pensato fino a ieri.

Oggi però questa ipotesi è caduta perché le risultanze di remote sensing prodotte dal Laboratorio di Diagnostica dei Musei Vaticani (riflettografie, restituzioni in infrarossi e ultravioletti) dimostrano (Ulderico Santamaria con Fabio Morresi) che sotto la pittura visibile c’è un disegno preparatorio il quale presenta pentimenti e rettifiche.

Quando si copia non c’è bisogno di preparazione grafica e in ogni caso non si giustificano correzioni e ripensamenti nella elaborazione dell’immagine. Tanto meno si giustificano quando il pittore è un grande come a evidenza è quello che ci ha consegnato il Cristo in gloria della Pinacoteca Vaticana. Tutto questo per dire che abbiamo di fronte un’opera originale, non una copia sia pure di assoluta eccellenza.

Era necessario, a questo punto, riprendere in mano la storia del dipinto e, con quella, le vicende del luogo che lo ospitava e della struttura all’interno della quale il nostro dipinto era inserito. Lo ha fatto, con minuziosa pazienza, con «patriottica» determinazione, la fondazione «Il Correggio» di Giuseppe Adami e Nadia Stefanel. Il risultato è il lungo documentatissimo saggio di Gianluca Nicolini che possiamo riassumere nei suoi punti essenziali.

Nella chiesa di Santa Maria della Misericordia a Correggio era collocato, al centro del presbiterio, un trittico commissionato ad Antonio Allegri che aveva in alto il Cristo in gloria, ai lati San Giovanni Battista e San Bartolomeo. Al centro, oggetto di antica devozione, stava un rilievo di Madonna col Bambino in terracotta policroma di recente attribuito a Desiderio da Settignano.

La chiesa della Misericordia esiste ancora, come esiste l’icona quattrocentesca della Vergine. Il resto è stato smembrato e disperso. Il Cristo in gloria è arrivato nelle collezioni del Papa, i santi laterali sono testimoniati da copie modeste in proprietà privata.

Il saggio citato documenta, quasi ad annum, i tortuosi e avventurosi passaggi di proprietà delle tele del Correggio e quindi del Cristo in gloria della Vaticana. Prima (1612) c’è stata la vendita a don Giovanni Siro, conte e poi principe di Correggio. Poi, a seguito della sfortuna politica di quel sovrano, è documentato il loro peregrinare fra Mantova, Firenze, Venezia, fino alla collezione Marescalchi e all’acquisto vaticano del 1829.

Fu il cardinale Pietro Francesco Galeffi ministro delle Finanze dello Stato Pontificio a volere l’acquisto supportato dal parere favorevole di artisti e conoscitori quali Bertel Thorvaldsen, Tommaso Mainardi, Jean-Baptiste Joseph Wicar e dalla mozione unanime in favore dell’autografia correggesca dell’Accademia di San Luca.

Questo accadeva poco meno di due secoli fa. Oggi, alla luce delle ultime risultanze scientifiche, è venuto il momento di riconsiderare una attribuzione ingiustamente negata o, quanto meno, offuscata.

(©L'Osservatore Romano 28 giugno 2011)