giovedì 30 giugno 2011

Il «Premio Ratzinger» a Don Olegario González de Cardedal "Giorno e notte come un fabbro nella sua fucina"



Giorno e notte
come un fabbro nella sua fucina


di Marta Lago

Nel ricevere il «Premio Ratzinger» i ricordi si affollano, con precisione e ordine, nella mente del professor Olegario González de Cardedal (che preferisce essere chiamato affettuosamente don Olegario). Non nasconde l’emozione e descrive il suo lavoro teologico, e pedagogico, ricorrendo all’immagine del fabbro impegnato giorno e notte nella sua fucina a forgiare il metallo sull’incudine. Don Olegario ha portato la teologia in luoghi dove potesse avere una degna collocazione — televisione, stampa nazionale, Real Accademia Spagnola delle Scienze morali e politiche e, ovviamente, prima fra tutti l’università. Castigliano nato ad Ávila, è orgoglioso delle sue origini rurali, un mondo aperto — dice conversando con «L’Osservatore Romano» — di alta montagna e colline. Ha forgiato una cinquantina di termini per poter dire in lingua spagnola, precisa e moderna, quanto cesellato dalla più illustre teologia e quanto hanno detto le altre teologie europee. Secondo la sua opinione, con il «Premio Ratzinger», si è anche nobilitato il castigliano. Ecco perché dedica il premio alla Spagna e «a quella generazione di società, di Chiesa e di teologia che fecero del concilio Vaticano II il punto di partenza e la fonte nutritiva per una nuova Chiesa e per una società libera, moderna e riconciliata».

Con che spirito riceve il «Premio Ratzinger»?

Credo che sia il riconoscimento di una forma di vita dedicata pienamente alla teologia nella Chiesa e nella cultura pubblica. Nella mia veste di sacerdote, non ho fatto altro che essere teologo, nella complessità di ciò che la teologia rappresenta nell’università, nella Chiesa e nella società.

Si potrebbe quasi dire che il premio non è un punto di arrivo ma di partenza. Una più ampia chiamata all’impegno nel lavoro teologico.

Il senso del premio è valorizzare e favorire questo tipo di servizio alla Chiesa. Pertanto, nel momento in cui si conferisce un elogio e un premio, si assegna una responsabilità e un incitamento.

Come si concretizza questa sollecitazione? Che passi deve compiere la teologia nella realtà contemporanea?

Primo, l’attenzione rigorosa verso le istituzioni in cui si pratica questa scienza; secondo, la dedizione personale — a fondo perduto — a esse; terzo, una sensibilità storica di dialogo e di comunicazione con il pensiero contemporaneo: Vangelo-illuminismo; fede-cultura; speranza cristiana - speranze storiche.

La definiscono un grande teologo e un uomo di cultura, punto di riferimento in Spagna. Come si articola questo dialogo che lei armonizza nella sua persona?

Ciò che sembra così peculiare è sempre stato alla base della migliore teologia. Sant’Agostino pensa attraverso la cultura retorica latina e il pensiero greco; san Tommaso lo fa attraverso la migliore tradizione spirituale e teologica e la filosofia di Aristotele; Newman attraverso la tradizione spirituale anglicana e la filosofia del positivismo del suo tempo; Rahner e Balthasar, invece, attraverso la teologia nel cristianesimo e tutto il pensiero europeo. La vera teologia c’è soltanto quando si è uomini di una razionalità storicamente costituita e di una fede ecclesiasticamente costituita. E queste sono inseparabili. Perché l’uomo che crede è l’uomo che pensa, e l’uomo che pensa è l’uomo che deve credere.

La teologia è la fede pensata...

La teologia è la ragione in cammino verso la fede e la fede in cammino verso la ragione. I due tragitti, di andata e ritorno, sono inseparabili. In una intelligenza che ricerca la fede, ed è una fede che, una volta acquisita, penetra nei suoi contenuti, cerca il suo fondamento e desume le sue conseguenze.

Oggi quali ostacoli avverte rispetto a questa ragionevolezza della teologia?

Se dovessi suggerire due minacce globali — non soltanto per la teologia ma anche per la Chiesa, la fede e la cultura — distinguerei da un lato un fondamentalismo integralista che non consente di aprire gli occhi a ciò che la ragione moderna nella sua complessità ha apportato sia di positivo che di negativo. E dall’altro un razionalismo positivista che riduce la ragione a una forma di razionalità tecnica, scientifica, quantitativa, come se quello fosse il sommo criterio della vera ragione. Ci sono molteplici esercitazioni della ragione: filosofica, poetica, scientifica, religiosa e metafisica. Questo vasto mondo è quello che plasma la complessità delle certezze e delle speranze della vita umana. Il positivismo razionalista è una secessione e una decapitazione della complessa razionalità alla quale siamo chiamati.

Si ha bisogno di una teologia più vicina, più accessibile?

La teologia si esercita su diversi livelli. Esiste una esercitazione teorica, tecnica, scientifica, rigorosa, di fonti, testi, metodi ed ermeneutiche che si esercita nell’università. E ciò deve avere tutto il rigore critico, metodologico e di stile che si richiede alle altre scienze. Esiste un secondo livello che è di trasmissione di grandi percezioni, valori e verità alla grande generalità della Chiesa. V’è poi, in terzo luogo, una trasmissione più pedagogica, didattica, in piccoli gruppi, associazioni, parrocchie e movimenti. Tutto ciò va differenziato, preparando le persone affinché lo compiano ognuna al proprio livello. A volte il grande cattedratico è carente di questa capacità pedagogica di trasmissione, e viceversa. Distinguere per unire è anche qui un criterio essenziale.

Tre livelli. Affrontano qualche sfida?

Esiste e deve esistere una sorta di retroalimentazione. Soltanto con il primo livello rimarremmo in un concettualismo, tecnicismo, positivismo puro. Soltanto con il secondo ci limiteremmo a una pura esercitazione di devozione. Soltanto con il terzo livello la teologia sarebbe ridotta a una mera funzione sociale e culturale. C’è una retroalimentazione. Per esempio dinanzi alla tentazione del positivismo, del concettualismo e dello scientificismo, l’esperienza vissuta di Chiesa, di fede, di testimonianza, di Vangelo nel terzo livello rinvia al primo livello per domandare in che misura è Vangelo quello che stanno facendo. Allo stesso tempo, bisogna curare il terzo livello perché non soccomba alla magia, alla politica, al fondamentalismo, al semplice vissuto della fede.

Qualche appunto sul futuro immediato della teologia?

Lasciamolo nelle mani di Dio e nell’impegno e nella speranza che noi uomini dobbiamo porre in essa

(©L'Osservatore Romano 1 luglio 2011)