lunedì 13 giugno 2011

Novant’anni fa, il 13 giugno 1921, Achille Ratti veniva nominato arcivescovo di Milano. "Il catechismo risolve tutto"



Novant’anni fa, il 13 giugno 1921, Achille Ratti veniva nominato arcivescovo di Milano

Il catechismo risolve tutto

Nei pochi mesi dell’episcopato si trovano quelle che saranno
le linee guida del pontificato di Pio XI

di Eliana Versace

Il 13 giugno 1921 il Pontefice Benedetto XV promulgò la bolla con la nomina ufficiale del nuovo arcivescovo di Milano, chiamato a succedere allo scomparso cardinale Andrea Carlo Ferrari. Il prescelto dal Papa era il vescovo Achille Ratti, che in quello stesso giorno di novant’anni fa, in un concistoro segreto, insieme alla guida della grande diocesi ambrosiana, ricevette anche la porpora cardinalizia col titolo — prerogativa degli arcivescovi milanesi — dei Santi Silvestro e Martino ai Monti.

La scelta di Achille Ratti, nativo della brianzola cittadina di Desio, destò stupore in alcuni ambienti ecclesiastici e diplomatici. Il prelato lombardo, molto noto per i suoi studi eruditi — negli anni precedenti era stato prefetto della Biblioteca Ambrosiana e poi di quella Vaticana — si trovava allora, da alcuni anni, in Polonia dapprima con l’incarico di visitatore apostolico e poi, dopo la nomina a nunzio, con il titolo di arcivescovo di Lepanto. Tuttavia il trasferimento di Ratti, al quale mancava una concreta esperienza pastorale, dalla nunziatura di un importante Paese dell’Europa centro-orientale alla guida di una tra le diocesi più vaste del mondo, per quanto sorprendente, fu una autonoma e ponderata decisione del Papa. Lo spiegò lo stesso Benedetto XV, durante il concistoro pubblico tenutosi il 15 giugno 1921, rivolgendosi al neoarcivescovo di Milano, contemporaneamente elevato alla dignità cardinalizia: «Sentiamo mille voci di plauso levarsi tra le fila dei cultori di studi diplomatici — dichiarò il Papa, valorizzando le peculiarità proprie di Ratti — Oh, mirabile armonia dei due sensi, nei quali si perdono le parole studi diplomatici. Ecco gli alunni delle scuole di Diplomatica inneggiare all’antico Prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano e dell’Apostolica Vaticana di Roma per l’illuminato zelo, con cui li ha sempre favoriti nella ricerca e nella illustrazione dei tesori nascosti in vecchie carte ed in antichi diplomi; ecco gli alunni e con essi i maestri della diplomazia, inneggiare al Nunzio apostolico in Polonia, che con dolce fermezza, con tatto squisito, con serenità imperturbata, ha saputo rafforzare la concordia fra lo Stato e la Chiesa in momenti difficili ed in circostanze pericolose».

E, incontrando in privato il neoeletto, che solo otto mesi dopo gli sarebbe succeduto al pontificato come Pio XI, Benedetto XV lo incoraggiò rivelandogli come «in questa nomina non ci sono entrati che Dio ed io».

Achille Ratti non raggiunse subito Milano: nel luglio seguente si ritirò per un mese nell’abbazia di Montecassino, ospite dell’abate Ambrogio Amelli, amico da lungo tempo. Ebbe così modo di valutare attentamente la situazione della sua diocesi d’origine, che si apprestava a guidare e nella quale aveva lungamente operato, in stretta collaborazione con il cardinale Ferrari: lì aveva trascorso la maggior parte della sua vita, avviandosi al sacerdozio e contribuendo egli stesso a formare i futuri sacerdoti ambrosiani, in qualità di docente di sacra eloquenza e teologia dogmatica presso l’antico seminario cittadino.

Durante il ritiro cassinese il presule brianzolo preparò le due lettere pastorali che avrebbe inviato al popolo ambrosiano prima del solenne ingresso in diocesi, previsto per l’8 settembre, festa di Maria nascente, alla quale è consacrato il duomo di Milano. «O Milanese, io son della tua terra»: con queste parole esordì l’arcivescovo scrivendo ai suoi fedeli che, per la prima volta dopo molto tempo, ritrovavano un pastore nativo della diocesi ambrosiana. Ma con questa citazione della sua prima lettera pastorale, che non è biblica, ma è formulata invece come una parafrasi dei versi dell’amato poeta Dante — come ha rilevato monsignor Bruno Maria Bosatra, direttore dell’archivio diocesano milanese, che al Ratti ambrosiano ha dedicato molteplici studi — il vescovo Ratti lasciava emergere dall’animo del Pastore anche la passione letteraria dell’uomo di cultura (cfr. «L’elezione di Achille Ratti nel fondo Ordinazioni episcopali dell’Archivio diocesano di Milano» in Pio XI e il suo tempo. Besana Brianza, Edizioni G.R., 2000).

Con la seconda lettera preparata a Montecassino, indirizzata al clero milanese e pertanto redatta in latino, ma datata anch’essa, come la precedente, al 15 agosto 1921, il cardinale indicava ai suoi sacerdoti quelle figure che avrebbero rappresentato i tre grandi riferimenti della sua azione pastorale: oltre ai patroni sant’Ambrogio e san Carlo (del quale Ratti ammirava l’organizzazione ecclesiastica e la disciplina) era proposto come modello anche il suo immediato predecessore, il cardinale Ferrari. Di quest’ultimo veniva ripresa ed evidenziata in particolar modo l’attenzione alla nascente Università Cattolica del Sacro Cuore e all’associazionismo cristiano specialmente giovanile, insieme all’aspirazione — ribadita da Ratti, per due volte, come monito imperativo — che la dottrina cristiana si affermasse e venisse applicata nella società. Pertanto, è proprio in questa lettera al clero che sembra possibile cogliere quelle che probabilmente sarebbero state le linee programmatiche del suo episcopato, se la morte di Benedetto XV avvenuta dopo soli cinque mesi dall’insediamento di Ratti a Milano, non avesse bruscamente interrotto tale esperienza pastorale.

Sin dal suo ingresso nella diocesi ambrosiana, colui che successivamente verrà ricordato anche come «il Papa dell’Azione Cattolica», si era rivolto principalmente ai giovani cattolici, sollecitandone un rinnovato impegno cristiano: «Cari giovani — aveva affermato — voi avete gridato: “Viva il cardinale dei giovani”. Io grido: “Viva i giovani del Cardinale”, perché io ho bisogno di voi, ho bisogno che voi viviate proprio come il cuore di Dio desidera. Ho bisogno di voi — continuava il nuovo arcivescovo — perché senza di voi l’avvenire non si fa o sarà un disgraziato avvenire. Lavoreremo insieme con pura, buona e sincera intenzione di bene».

Inoltre, in coerenza con quanto preannunciato nella lettera al clero, il cardinale Ratti, sin dall’inizio del suo episcopato, si prodigò per favorire la diffusione della «dottrina cristiana» in tutte le scuole della diocesi. La sua prima disposizione, emanata in qualità di arcivescovo il 1° ottobre 1921, fu un insistente appello affinché in ogni scuola fosse impartito l’insegnamento della religione cattolica mediante l’adozione, come testo unico per tutti, del catechismo di Pio X. A questo fermo proposito fece seguito la promulgazione di un volumetto, rivisto e approvato dall’arcivescovo, con le Norme per l’istruzione religiosa nel corso elementare, e venne istituita una prima Giornata catechistica, che si svolse il 20 ottobre.

Egli inviò in seguito alcuni «visitatori» in tutta la diocesi, con il compito di accertare i metodi dell’educazione religiosa nelle scuole e di migliorarli ove avessero manifestato insufficienze. Anche la prima e unica lettera pastorale pubblicata da Ratti nei pochi mesi del suo episcopato milanese, fu tutta incentrata sul tema dell’insegnamento della religione, minacciato in quegli anni da una legislazione scolastica di chiara impronta anticlericale. Il cardinale, che aveva lanciato una sottoscrizione perché il catechismo potesse essere insegnato nelle scuole, riuscì ad ottenere che il consiglio comunale di Milano, a prevalenza socialista, concedesse le aule scolastiche per questa disciplina. Pure nell’adunanza dei vescovi lombardi, presieduta da Ratti nel novembre del 1921, si discusse prevalentemente dei problemi dell’apprendimento religioso e della diffusione della dottrina cristiana. Colui che, divenuto Pontefice, avrebbe dedicato al tema dell’educazione cristiana dei giovani un’intera enciclica, la Rappresentanti in terra, sollecitando inoltre l’istituzione nelle diocesi italiane di veri e propri concorsi di cultura religiosa, amava ripetere come «il piccolo catechismo cristiano, ridotto ai minimi termini, proprio nella sua prima pagina offre la soluzione vera di tutti i problemi più alti dell’umanità».

Si può così comprendere meglio anche l’attenzione e la fiducia con cui Ratti guardò al progetto portato avanti da padre Agostino Gemelli, la fondazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che proprio lui, nella veste di arcivescovo e legato pontificio, sarà chiamato a inaugurare a Milano il 7 dicembre di novant’anni fa, e sulla cui istituzione continuò a vigilare, con paterna benevolenza, anche come Pontefice. «Di fronte al catastrofico fallimento della scienza e della saggezza umana» — scriveva Ratti nel 1921 a padre Gemelli, incoraggiandolo nella sua opera — soltanto «il connubio della fede e della scienza può fornire le risposte che i tempi moderni richiedono».

Mentre la situazione politica milanese era resa instabile dalla crisi sociale ed economica sempre più opprimente che travagliava tutto il Paese, l’arcivescovo Ratti dovette confrontarsi, in un difficile rapporto, con la giunta guidata dal sindaco socialista Filippetto che non aveva voluto presenziare alla cerimonia dell’ingresso in diocesi del cardinale «per ragioni politiche»; e poi con l’emergente fenomeno politico dei fasci di combattimento, fondati a Milano, due anni prima, dal milanese d’adozione Benito Mussolini, il quale, nella primavera di quello stesso 1921, proprio nel capoluogo lombardo, fu eletto per la prima volta deputato. In quei mesi trascorsi a Milano Ratti ebbe modo di formarsi un giudizio sul futuro capo del fascismo, che si sarebbe rivelato quanto mai veritiero e profetico: «Quell’uomo — dichiarò l’arcivescovo Ratti nel gennaio del 1922, parlando di Mussolini a un giornalista francese, durante un’intervista — avanza a grandi passi ed invaderà tutto, con la forza di un elemento naturale (...) Recluta gli adepti sui banchi di scuola e in un colpo solo li innalza fino alla dignità di uomini e di uomini armati. Li seduce, li fanatizza. Regna sulla loro immaginazione (...) Il futuro è suo. Bisognerà vedere però come tutto questo andrà a finire e che uso farà della sua forza. Che orientamento avrà il giorno in cui dovrà scegliere di averne uno? Resisterà alla tentazione, che insidia tutti i capi, di ergersi a dittatore assoluto?».

La scomparsa inattesa di Benedetto XV, il 22 gennaio del 1922, e la conseguente elezione al Papato dell’arcivescovo di Milano, avvenuta il 6 febbraio successivo, nella quattordicesima votazione del conclave, posero termine a un episcopato che seppur brevissimo, (raptim transit recitava, come un presagio, il suo motto episcopale), racchiudeva in nuce quelle preminenti linee pastorali che avrebbero trovato un più concreto sviluppo e compimento nel corso del lungo pontificato di Pio XI.

(©L'Osservatore Romano 12 giugno 2011)