mercoledì 15 giugno 2011

Un rapporto dell’Ocse. "Per una politica in favore della famiglia" di Michele Dau



Un rapporto dell’Ocse

Per una politica
in favore della famiglia

di Michele Dau


«Le famiglie sono la pietra angolare della società e svolgono un ruolo importante nella vita economica e sociale. Esse sono un motore fondamentale di solidarietà: offrono identità, amore, cura, nutrimento e sviluppo per i loro membri e formano il nucleo basilare di molte reti di rapporti sociali». Non si tratta di un documento di dottrina sociale ma dell’incipit di un rapporto di ricerca realizzato di recente dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Un testo internazionale ufficiale che offre un valido supporto a quanti ritengono che, finalmente, nel mondo occidentale e più avanzato stiano mutando gli orientamenti culturali di fondo, dopo alcuni decenni di soggettivismo e di radicalismo individuale.

È la forza stringente dei problemi oggettivi che affliggono oggi le società più evolute che, probabilmente, spinge i più attenti ed equilibrati analisti a sostenere la necessità di dare massimo supporto a visioni sociali più equilibrate e fondate sui soggetti naturali come la famiglia e la comunità locale. Sull’esame delle più efficaci politiche per le famiglie si è soffermata l’Ocse con un documento comparativo Doing better for families («Fare meglio per le famiglie»). L’evoluzione dei mercati del lavoro, le opportunità educative e i cambiamenti sociali stanno da tempo trasformando i paradigmi di formazione e di comportamento dei nuclei familiari. Nella vita contemporanea entrambi i genitori vogliono avere una vita di lavoro e una attiva vita di famiglia. Ma spesso ambedue lavorano anche per arrivare dignitosamente alla fine del mese.

L’analisi evidenzia che i bambini che vivono in una famiglia con i genitori sono più felici se entrambi lavorano con soddisfazione piuttosto che un solo genitore. Tuttavia quando le mamme lavorano non sempre i padri subentrano adeguatamente nelle attività di casa e un notevole carico di incombenze rimane sulle spalle femminili.

Pure in un quadro di fenomeni omogenei nei Paesi più evoluti sono notevoli le differenze. Il tasso di fertilità è più alto in Israele (2,9 per cento), India (2,7 per cento), Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia con il 2 per cento circa, mentre è più basso in Germania, Spagna e Italia che si attestano all’1,4 per cento circa. Il numero di donne che lavorano sul totale della popolazione lavorativa è assai elevato in tutti i Paesi del nord Europa, con tassi tra il 65 e il 70 per cento, negli Usa con il 64 per cento, mentre rimane molto basso in Italia (45 per cento) e in Grecia (43 per cento). L’indice di povertà dell’infanzia è pari al doppio circa della media in Paesi come il Messico, il Cile, la Turchia, la Polonia, mentre è molto basso in Paesi come la Germania, la Francia, l’Austria, la Gran Bretagna. Le cure pubbliche per i bambini fino ai 6 anni sono più intense in Francia, Danimarca, Belgio e Norvegia, mentre rimangono ancora non sufficienti in numerosi Paesi. La spesa pubblica complessiva per le politiche di sostegno alle famiglie è assai elevata in Paesi come la Germania, la Francia, l’Australia, il Belgio la Svezia, la Gran Bretagna, mentre rimane troppo bassa in altri come il Messico, l’Italia, gli Stati Uniti, il Canada.

Gli indicatori statistici non dicono tutto, perché è poi necessario esaminare le condizioni e le abitudini di ciascun Paese. Però, in un mondo sempre più globalizzato e interconnesso, i comportamenti si influenzano e i cittadini di un Paese possono avere maggiori informazioni su altri Paesi e formulare quindi della valutazioni che portano a modificare le aspettative verso i pubblici poteri. Certamente le politiche familiari devono interessare diversi aspetti e riferirsi a differenti obiettivi: riconciliare le responsabilità lavorative e familiari; accrescere l’impiego lavorativo dei genitori e contrastare la povertà; mobilitare l’offerta di lavoro femminile e ridurre le disuguaglianze di genere; promuovere le condizioni perché le famiglie possano avere il numero di figli che desiderano nei tempi da loro scelti; promuovere le cure per i bambini e la loro possibilità di avere le medesime opportunità di sviluppo.

Nel complesso l’analisi dell’Ocse punta al potenziamento delle famiglie e della loro funzione procreatrice ed educativa come contributo indispensabile ad un vero sviluppo sociale. Le politiche familiari non devono, dunque, rispondere a interessi parziali o corporativi, né tantomeno a impostazioni ideologiche e o confessionali, quanto piuttosto a una visione basilare per una vera crescita sociale ed economica.

Come fare il meglio allora per le famiglie? Le evidenze empiriche tratte dalla misurazione delle politiche di tutti i principali Paesi del mondo conducono a sottolineare che: è necessario spendere subito per la natalità e per l‘infanzia, bisogna investire in modo consistente e assicurare queste risorse anche in condizioni di severi tagli al bilancio; si deve migliorare l’efficienza dei servizi e avere sempre i bambini come primo obiettivo; occorre monitorare e sostenere in particolare i nuclei familiari a rischio; bisogna agevolare le spese delle famiglie per le attività educative e sociali al di fuori dell’orario scolastico; si deve favorire un più equilibrato godimento di genere dei congedi parentali; è importante sostenere il lavoro part time e flessibile per le donne senza penalizzazioni sociali e previdenziali.

La strategia è chiara: valorizzare le famiglie e l’indispensabile capitale umano che le famiglie possono generare. Le misure da adottare sono ben delineate, non secondo schemi astratti ma sulla base dei risultati concreti in Paesi che le hanno già adottate. Occorre favorire una aperta e dinamica visione sociale, non assistenziale, ma capace di superare anche impostazioni ristrette che vorrebbero dotare le famiglie di maggiori risorse, lasciandole poi sole di fronte a tutti problemi, invece di aiutarne l’indispensabile inserimento nella rete sociale. La forza della crescita di una società non è solo nella singola famiglia ma nella comunità di famiglie e nelle relazioni aperte e libere che si sviluppano con le strutture educative e della vita civile.

Sembrano davvero lontani i tempi quando, nel 1981, la Brookings Institution di Washington (un prestigioso think tank liberale) pubblicava un provocatorio saggio sulla «futilità delle politiche familiari» per evidenziare come, di fronte alla disgregazione del tessuto della famiglie, non si potesse delineare alcun rimedio ma si dovesse solo assecondare l’evoluzione in atto.

Nel mondo contemporaneo, sulla base di attente e concrete misurazioni, si registrano libere assonanze con posizioni che la dottrina sociale della Chiesa ha da tempo messo in evidente luce. Occorre guardare alla realtà e ai suoi cambiamenti, alle semplici e profonde domande e ai bisogni veri che si manifestano. Così possono nascere buone politiche, ispirate da una giusta visione della società e promuovere un umanesimo integrale e solidale.


(©L'Osservatore Romano 15 giugno 2011)