mercoledì 14 settembre 2011

Il canone di Cosma di Maiouma "Oggi la croce ci riveste dell’abito della vita" (Manuel Nin)


Il canone di Cosma di Maiouma

Oggi la croce ci riveste
dell’abito della vita

di Manuel Nin

L’innografia cristiana orientale, specialmente nella tradizione siriaca e in quella bizantina, canta la croce di Cristo presentandola sempre come luogo di vittoria sulla morte. Nell’ufficiatura mattutina bizantina per la festa dell’Esaltazione della santa Croce il 14 settembre si trova un canone di Cosma di Maiouma (675-752). Originario di Damasco e adottato dalla famiglia di Giovanni Damasceno, fu con lui educato; monaco nel monastero di San Saba e poi vescovo di Maiouma, vicino Gaza, è autore di composizioni liturgiche entrate nell’eucologia bizantina.

Nel mattutino, il canone prende il posto dei cantici biblici veterotestamentari e Cosma vi commenta i passi veterotestamentari interpretati come prefigurazioni e profezie della croce di Cristo.

Già Mosè prefigura la croce vittoriosa: «Tracciando una croce, Mosè, col bastone verticale, divise il Mar Rosso per Israele che lo passò a piedi asciutti, poi lo riunì su se stesso con frastuono volgendolo contro i carri di faraone, disegnando, orizzontalmente, l’arma invincibile». Poi Giona, pregando con le braccia stese nel ventre del pesce, prefigura la passione e la risurrezione di Cristo: «Nelle viscere del mostro marino, Giona stendendo le palme a forma di croce, chiaramente prefigurava la salvifica passione: perciò uscendo il terzo giorno, rappresentò la risurrezione ultramondana del Cristo Dio crocifisso nella carne che con la sua risurrezione il terzo giorno ha illuminato il mondo».

Cosma vede i grandi momenti della vita di Mosè come prefigurazioni della croce: «Stando in mezzo ai due sacerdoti, Mosè prefigurò un tempo in se stesso l’immacolata passione. Atteggiandosi poi a forma di croce, elevò il trofeo con le braccia spalancate, annientando il potere del malvagio Amalek. Mosè pose su una colonna il rimedio che salvava dal morso velenoso e distruttore: al legno immagine della croce legò trasversalmente il serpente che striscia per terra, e con questo trionfò del flagello. Un tempo Mosè, con un legno, trasformò nel deserto le sorgenti amare, prefigurando il passaggio delle genti alla pietà, grazie alla croce».

Diverse volte Cosma mette in parallelo la croce e l’albero del paradiso: «Nel paradiso un tempo un albero mi ha spogliato, perché facendomene gustare il frutto, il nemico ha introdotto la morte; ma l’albero della croce, che porta agli uomini l’abito della vita, è stato piantato sulla terra, e tutto il mondo si è riempito di ogni gioia». La croce diventa allora arma della Chiesa: «Una verga è assunta come figura del mistero; per la Chiesa un tempo sterile, è fiorito ora l’albero della croce, come forza e sostegno. La dura roccia colpita dalla verga, facendo scaturire acqua per un popolo ribelle e duro di cuore, manifestava il mistero della Chiesa eletta da Dio, di cui la croce è forza e sostegno. Il fianco immacolato colpito dalla lancia fece scaturire acqua e sangue, inaugurando l’alleanza e lavando i peccati: la croce è infatti vanto dei credenti».

Dall’immagine della croce come albero della vita, Cosma sviluppa il tema del Cristo crocefisso come esca per il nemico che nel paradiso diventa ingannatore con un albero e un frutto: «O albero beatissimo, su cui è stato steso Cristo, re e Signore! Per te è caduto colui che con un albero aveva ingannato, è stato adescato da Dio che nella carne in te è stato confitto, e che dona la pace alle anime nostre». Poi viene ripreso il tema della croce come vittoria sul cherubino con la spada fiammeggiante che custodisce l’ingresso del paradiso: «Di fronte a te, albero celebrato su cui fu steso Cristo, ha avuto timore, o croce, la spada roteante che custodiva l’Eden, e si è ritratto il temibile cherubino, di fronte al Cristo in te confitto, che elargisce la pace alle anime nostre».

In tutto il canone l’autore sottolinea la professione di fede trinitaria a partire da immagini veterotestamentarie: «Benedite, fanciulli, pari in numero alla Trinità, Dio Padre creatore, inneggiate al Verbo che è disceso, e ha mutato il fuoco in rugiada; e sovraesaltate per i secoli lo Spirito santissimo, che elargisce vita a tutti». D’altra parte mette in evidenza l’Incarnazione: «Mentre viene innalzato l’albero irrorato dal sangue del Verbo di Dio incarnato, inneggiate, schiere dei cieli, festeggiando il riscatto dei mortali. Adorate, popoli, la croce di Cristo, per la quale è data al mondo la risurrezione».

Infine dal parallelo tra Chiesa e paradiso si sviluppa quello tra Maria e paradiso: «Sei mistico paradiso che, senza coltivazione, o Madre di Dio, ha prodotto il Cristo, dal quale è stato piantato sulla terra l’albero vivificante della croce: adorando lui, per essa che ora viene esaltata, noi magnifichiamo te. Esultino tutti gli alberi del bosco, perché la loro natura è stata santificata da colui che nel principio l’ha piantata, Cristo, disteso sul legno. Per questo noi lo magnifichiamo».

© L'Osservatore Romano 14 settembre 2011