giovedì 15 settembre 2011

Il Vangelo è sempre quello e l’evangelizzazione è sempre nuova "Come e perché esiste solo la verità del Tre" (Inos Biffi)




Il Vangelo è sempre quello e l’evangelizzazione è sempre nuova

Come e perché
esiste solo la verità del Tre

Un Dio che non sia trinitario semplicemente non esiste
Chi nega la Trinità obiettivamente nega il Dio Uno

di Inos Biffi

Si parla spesso di nuova evangelizzazione. L’espressione ha un senso se indica un rinnovato impegno nella Chiesa ad annunciare il Vangelo: «Guai a me, se non evangelizzo», affermava san Paolo (1 Corinzi, 9, 16). Quanto invece al contenuto l’evangelizzazione non può presentare, né presenterà mai, nessuna novità. Come al principio, essa sarà sempre l’annunzio di «Cristo» (2 Corinzi, 2, 12) e delle sue «impenetrabili ricchezze» (Efesini, 3, 8); evangelizzare significherà sempre annunziare il «Figlio» di Dio che è stato rivelato (Galati, 1, 16), proclamare il «mistero» (Efesini, 6, 19), o l’eterno disegno divino. È esattamente questa la novità: il disegno divino che non soggiace a nessun invecchiamento, e in ogni tempo, identicamente e intramontabilmente, è l’oggetto dell’evangelizzazione che sarà perciò stesso sempre nuova.

L’ovvia attenzione all’aggiornamento quanto alla modalità di trasmissione del Vangelo non tocca minimamente la sostanza della evangelizzazione, che rimane inalterata e che alla Chiesa deve sempre identicamente importare.

La grazia annunziata dal messaggio evangelico non è facoltativa, ma necessaria: senza di essa, infatti, nessun uomo si può mai salvare. Le parole di Gesù sono chiare e precise; il Vangelo va proclamato a ogni creatura; chi crederà sarà salvato, mentre chi non crederà sarà condannato (Marco, 15, 16).

Possiamo ora ricordare in questi termini il contenuto perennemente nuovo dell’evangelizzazione: esiste la Trinità, ossia Dio creatore, Padre, Figlio e Spirito Santo.

«Uno della Trinità», il Figlio, secondo l’eterno disegno di Dio, si è fatto uomo; è morto; è risorto; siede Signore alla destra del Padre; e ha redento l’umanità.

L’uomo è chiamato all’esistenza per essere conforme al Redentore ed essere partecipe del suo stesso destino.

Da questo contenuto sono, da sempre, toccati «esistenzialmente» tutti gli uomini, dal momento che il disegno divino è in atto «fin dai secoli eterni» — ante tempora saecularia (Tito, 1, 2).

Dio vuole certo la salvezza di tutti, ma nessuno la potrà avere a prescindere da Gesù Cristo, che rappresenta l’unico progetto salvifico.

Interessa assolutamente a ogni uomo sapere di esistere solo perché Dio gli ha donato l’essere, e, quindi, essere cosciente che, non avendo in se stesso il principio e la ragione dell’essere, senza Dio creatore non sarebbe apparso dal nulla, e, senza il dono divino e continuo dell’essere, si troverebbe, per la sua radicale insufficienza, immediatamente esaurito.

 
DICHIARAZIONE
"DOMINUS IESUS"

CIRCA L'UNICITÀ E L'UNIVERSALITÀ SALVIFICA
DI GESÙ CRISTO E DELLA CHIESA

Così come resterebbe esistenzialmente smarrito e radicalmente irriuscito, se Dio, quale Sommo Bene, non rappresentasse il suo fine ultimo o il termine pienamente soddisfacente del suo desiderio.

Senza Dio Principio e Fine l’uomo resterebbe un incomprensibile «frammento » errante e disorientato, un «avvio » — una inchoatio la definirebbe san Tommaso (Summa Theologiae, 1-2, 1, 6, c) — irrazionalmente destinato all’incompiutezza.

Un’esistenza umana dalla quale sia assente la coscienza di Dio creatore, è un’esistenza contraddittoria, infelice e insostenibile che solo un’intelligenza obnubilata o contraffatta potrebbe giudicare razionale.

Riconoscere l’esistenza di Dio significa sentirne e confessarne la Presenza nell’intimo del proprio essere, fatto salire alla luce immeritatamente, per pura bontà e gratuità; significa sentirsi profondamente accolti e protetti, poiché la stessa creazione equivale a una provvidenza, che non può trascurare e non avere a caro colui che ha voluto far uscire addirittura dal nulla.

La prima immagine di Dio, i primi luminosi tratti del suo profilo, sono quelli che convengono non a un Dio giudice impietoso che sgomenti e impauri, ma quelli di un Dio amore che rincuora e rassicura. Infondere questa coscienza è il primo compito che deve premere alla nuova evangelizzazione.

Ma la Parola divina ha rivelato che Dio creatore è Padre, Figlio e Spirito Santo: un solo Dio in Tre Persone. Chi ignora la Trinità, non conosce il vero Dio, o lo conosce interlocutoriamente e incompiutamente. E, infatti, la Trinità tempo all’Unità di Dio. Un Dio che non sia trinitario semplicemente non esiste. Chi nega la Trinità, obiettivamente nega il Dio Uno.

In altri termini: l’autentico monoteismo è trinitario. Lo professiamo nel Simbolo della fede: «Credo in un solo Dio Padre onnipotente, e in Gesù Cristo, suo unico Figlio; credo nello Spirito Santo».

Il sapere che Dio è Trinità, importa sommamente a ogni uomo, che si ritrova inimmaginabilmente termine della più segreta confidenza del Creatore, che lo rende partecipe della sua vita intima, alla quale nessun intelletto creato potrebbe mai arrivare. Egli si rende conto di essere uscito dal nulla in virtù di un amore onnipotente e paterno, d’essere stato plasmato a immagine dell’Unigenito di Dio, e di essere avvolto dall’abbraccio che lega il Padre con il Figlio, cioè lo Spirito Santo.

Egli vede o, meglio, intravede il volto divino delinearsi con i tratti del Padre, e la creazione provenire dallo stesso cuore, che ama e genera il Figlio da sempre dimorante nel suo seno (Giovanni, 1, 18). Finché l’uomo non scopre che Dio è Padre, non conosce veramente Dio, ma lo scorge solo da lontano, quasi dall’esterno.

Ecco, allora, un altro urgente e primario aspetto della «nuova» evangelizzazione: quello relativo alla paternità di Dio verso ogni uomo, da lui voluto e a lui gradito e caro come un figlio.

Ma occorre proseguire per cogliere tutta la novità di questo amore paterno. Essa appare nella professione della fede, là dove diciamo: «Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio», che «per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo (...) si è incarnato (...) e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi (...) morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato (...) è salito al cielo, siede alla destra del Padre».

Appare, così, che Dio ci ama di un amore misericordioso; che il dono che egli ci ha fatto è quello del Figlio: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Giovanni, 3, 16); che il peccato — da cui nell’una o nell’altra forma è toccato ogni uomo — trova la sua remissione nel sacrificio di Gesù sulla croce: «Mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia» (Efesini, 1, 7). Gli uomini sono stati «predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Romani, 8, 29).

D’altronde, nel Cristo risorto da morte, per mezzo di lui e in vista di lui, «furono create tutte le cose, nei cieli e sulla terra» (Colossesi, 1, 16). Certo, uno potrebbe anche tranquillamente disinteressarsi di tutto questo, ma in tal modo accetterebbe di non sapere perché si trovi a esistere.

Ma allora la nuova evangelizzazione si rivela ancora più impellente. Di nessuna cosa gli uomini — a qualsiasi spazio o tempo appartengano — hanno più bisogno quanto di conoscere questa «novità»: cioè di essere stati da sempre amati nel Figlio di Dio, pensati e creati sul Modello originario che è il Crocifisso risuscitato, e quindi chiamati a condividere il suo stesso destino di gloria.

Se la Chiesa non fosse incessantemente occupata a questo annunzio che essa sola può dare, non direbbe niente che varrebbe la pena di ascoltare.

© L'Osservatore Romano 16 settembre 2011