sabato 10 dicembre 2011

III Domenica di Avvento, Anno B - Domínica tertia Adventus ( 11 dicembre 2011)



11 DICEMBRE

PRIMI VESPRI - UFFICIO LETTURE - LODI MATTUTINE
ORA MEDIA - SECONDI VESPRI - COMPIETA


Dio viene per la gioia dei poveri
 Il Dio che viene vuole essere «povero»: contesta le immagini che spontaneamente ci facciamo di lui, e ci incontra in una dimensione inconsueta per una religione. Ma questo Dio «diverso» diventa molto più credibile per ogni persona che cerchi una religione autentica. Tutta una linea profetica aveva presentato agli Ebrei il Messia secondo le categorie della potenza, della vittoria, del dominio universale: ciò dei resto corrispondeva all’esperienza dell’Esodo, che rimane il punto di riferimento necessario per il Dio dell’alleanza. Ma soprattutto con l’esilio, che favorisce la riflessione sull’alleanza e la sua interiorizzazione, il Dio d’Israele e Colui che egli consacra per la missione di salvatore del popolo vengono guardati sotto una luce nuova, più spirituale (più simbolica, anche); e allo stesso modo viene guardata la missione e i suoi destinatari (prima lettura).

I privilegiati del Regno
I «poveri» sono i più disponibili al lieto annuncio della salvezza: sono coloro che non si fanno forti della propria sufficienza personale o della sicurezza materiale, che sono attenti all’ascolto della parola di Dio e capaci di una fedeltà semplice e solida alla sua legge.

Certo, c’è il pericolo di idealizzare la sorte dei miserabili della terra (mentre noi stiamo bene) e di non fare nulla per cambiare le sorti della povera gente bisognosa di tutto; sarebbe comodo limitarsi a parlare della gioia messianica di fronte a persone che stentano a trovare il pane quotidiano, mentre Cristo ha avuto viscere di compassione guarendo infermità e moltiplicando il pane. In realtà per questi fratelli più bisognosi la speranza messianica si concretizzerà in una presenza fraterna di chi tende una mano per soccorrere, e ancor più in una condivisione della loro sorte, rendendo, così, credibile e tangibile l’annuncio di un mondo migliore. Ma non solo con questo si soddisfa l’attesa.

Il precursore dell’annuncio di gioia ai poveri si autodefinisce «voce di uno che grida»; non è lui «la luce». Egli vuole «rendere testimonianza alla luce» (vangelo). Il portatore della «Buona Novella» — il Cristo — sta già in mezzo ai suoi, eppure «non lo conoscono»; egli è la «Parola», è la «Luce» e non è ascoltato, non è visto.
Egli sta in mezzo a noi e noi rischiamo di non riconoscerlo se ci limitiamo a vedere in lui l’eroe di un messianismo umano, il teorico di una fratellanza o di una felicità terrestre, il taumaturgo straordinario. Il segreto della personalità dell’Uomo-Dio rivela un’attenzione speciale ai poveri e agli umili che hanno fede e si abbandonano a Dio, e sottolinea il capovolgimento che l’arrivo del «giorno del Signore» porterà con sé nelle strutture umane.

Testimoni della gioia di Cristo
L’intervento di Gesù nella storia genera attorno a sé un’atmosfera di entusiasmo e di gioia. Gesù è l’iniziatore definitivo di questa gioia che viene dall’alto e che è dono dei Padre: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (1 Gv 4,10). Il «magnificat» della Vergine Maria esprime meravigliosamente la tonalità fondamentale della gioia cristiana (salmo responsoriale). Però occorre non ingannarsi: il rendimento di grazie non è l’atteggiamento passivo di uno che riconosca soltanto che tutto gli viene dall’alto; è la gioia di chi scopre di essere chiamato a contribuire all’edificazione dei mondo, nella prospettiva stupendamente sintetizzata dal II prefazio dell’avvento: «Lo stesso Signore, che ci dona di prepararci con gioia al mistero del suo Natale, ci trovi vigilanti nella preghiera, esultanti nella sua lode». Il cristiano sente di vivere sulla terra un’esistenza uguale a quella di qualsiasi altro uomo, ma di avere in più una certezza di salvezza ed un senso della storia che gli permettono di riconoscere in tutti gli avvenimenti il Regno che viene. Questo gli procura una gioia profonda che egli testimonia non fuggendo la propria condizione ma considerandola come una tappa della venuta del Signore. Diventa così il segno reale della venuta del Signore.

Mi ha mandato a portare il lieto annuncio
Cosa significa questa frase per noi, per la nostra comunità?
Il cristiano, rinnovando il memoriale del sacrificio della croce, è convinto che il suo comportamento di mitezza e di bontà manifesta la venuta del Signore nel mondo; rinuncia perciò a dare testimonianza di Dio nella potenza e nel trionfalismo delle istituzioni. La celebrazione eucaristica inoltre non può dar luogo solo ad una gioia puramente umana di un incontro fra uomini già fratelli per affinità di razza, di ambiente sociale o di interessi comuni; occorre aprire le nostre comunità eucaristiche alle ricchezze della diversità umana. La gioia allora sarà forse meno spontanea, ma più vera. (CC Salesiano)


Giovanni è la voce, Cristo la Parola
Dai «Discorsi» di sant'Anselmo, vescovo.
(Disc. 293, 3; Pl 1328-1329)

Giovanni è la voce. Del Signore invece si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1, 1). Giovanni è la voce che passa, Cristo è il Verbo eterno che era in principio.

Se alla voce togli la parola, che cosa resta? Dove non c'è senso intelligibile, ciò che rimane è semplicemente un vago suono. La voce senza parola colpisce bensì l'udito, ma non edifica il cuore.

Vediamo in proposito qual è il procedimento che si verifica nella sfera della comunicazione del pensiero. Quando penso ciò che devo dire, nel cuore fiorisce subito la parola. Volendo parlare a te, cerco in qual modo posso fare entrare in te quella parola, che si trova dentro di me. Le do suono e così, mediante la voce, parlo a te. Il suono della voce ti reca il contenuto intellettuale della parola e dopo averti rivelato il suo significato svanisce. Ma la parola recata a te dal suono è ormai nel tuo cuore, senza peraltro essersi allontanata dal mio.

Non ti pare, dunque, che il suono stesso che è stato latore della parola ti dica: «Egli deve crescere e io invece diminuire»? (Gv 3, 30). Il suono della voce si è fatto sentire a servizio dell'intelligenza, e poi se n'è andato quasi dicendo: «Questa mia gioia si è compiuta» (Gv 3, 29). Teniamo ben salda la parola, non perdiamo la parola concepita nel cuore.

Vuoi constatare come la voce passa e la divinità del Verbo resta? Dov'è ora il battesimo di Giovanni? Lo impartì e poi se ne andò. Ma il battesimo di Gesù continua ad essere amministrato. Tutti crediamo in Cristo, speriamo la salvezza in Cristo: questo volle significare la voce.

E siccome è difficile distinguere la parola dalla voce, lo stesso Giovanni fu ritenuto il Cristo. La voce fu creduta la Parola; ma la voce si riconobbe tale per non recare danno alla Parola. «Non sono io, disse, il Cristo, né Elia, né il profeta». Gli fu risposto: «Ma tu allora chi sei?» «Io sono, disse, la voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore» (cfr. Gv 1, 20-23). «Voce di chi grida nel deserto, voce di chi rompe il silenzio».

«Preparate la strada» significa: Io risuono al fine di introdurre Lui nel cuore, ma Lui non si degna di venire dove voglio introdurlo, se non gli preparate la via.

Che significa: Preparate la via, se non: chiedete come si deve? Che significa: Preparate la via, se non: siate umili di cuore? Prendete esempio dal Battista che, scambiato per il Cristo, dice di non essere colui che gli altri credono sia. Si guarda bene dallo sfruttare l'errore degli altri ai fini di una sua affermazione personale. Eppure se avesse detto di essere il Cristo, sarebbe stato facilmente creduto, poiché lo si credeva tale prima ancora che parlasse. Non lo disse, riconoscendo semplicemente quello che era. Precisò le debite differenze. Si mantenne nell'umiltà. Vide giusto dove trovare la salvezza. Comprese di non essere che una lucerna e temette di venire spenta dal vento della superbia.