sabato 17 dicembre 2011

IV Domenica di Avvento Anno B - Domínica quarta Adventus (18 dicembre 2011)



18 DICEMBRE
La catechesi evangelica, come anche quella paolina, si preoccupa di affermare chiaramente che Gesù appartiene alla famiglia regale di Davide. In questo modo evidenzia sia la concreta esistenza di Gesù, sia il compimento delle promesse messianiche.

Una casa per Dio
Nel corso dei secoli Israele aveva preso coscienza della propria identità nazionale e insieme religiosa: anzi, la monarchia era parsa la garanzia di una fedeltà al Dio dell’alleanza.

Davide (prima lettura) pensa che la costruzione di una «casa» a Dio propizi in modo definitivo i suoi favori, e lo faccia abitare stabilmente in mezzo al popolo. Ma il profeta di corte è costretto a dirgli che sarà Dio a costruire una casa a Davide, cioè una dinastia che duri per sempre.

Ora, il figlio annunciato a Maria è chiaramente designato come figlio di Davide, poiché Giuseppe, a cui Maria è fidanzata, appartiene alla casa di Davide. Era importante garantire, di fronte agli Ebrei, attraverso l’istituzionalità della successione, il titolo che fonda l’azione dell’inviato di Dio, e, per la fede cristiana, la «verità» umana del Salvatore (cf Rm 1,3).

Durante la sua vita Gesù non si è attribuito volentieri il titolo di «figlio di Davide» (anche se la gente lo acclamava così), per non alimentare un nazionalismo facile e pericoloso. Identificandosi con i «poveri» che attendevano una salvezza spirituale, egli conferma che «la carne non serve a nulla», e che ogni potenza umana non ha consistenza. La sua nascita da una donna vergine (e «segno» è la nascita di Giovanni da una donna anziana e sterile) mette in risalto la forza dell’intervento di Dio (vangelo).

Dio cerca collaboratori
Così dunque, per realizzare il «mistero taciuto per secoli eterni, ma rivelato ora… a tutte le genti» (seconda lettura), Dio si inserisce in un quadro che si è venuto organizzando e modificando nel corso degli anni; e non agisce da solo, ma chiede la collaborazione cosciente e libera della madre, come in seguito farà con gli Apostoli e con tutti i credenti. Ma colui che nasce nella carne come «figlio di Davide» è, per la potenza dello Spirito, costituito e rivelato come «figlio dell’Altissimo»; questa è la fede che la Chiesa riesprime nella sua preghiera: «... all’annunzio dell’angelo ci hai rivelato l’incarnazione del tuo Figlio...» (colletta). «Non dalla carne e dal sangue» egli nasce, ma da Dio; e, analogamente, nascono come figli di Dio quelli che credono in lui.

Per stabilizzare la sua dinastia e per dare un centro al suo popolo, Davide pensa di costruire una casa per mettervi l’arca dell’alleanza (vv. 1-3), ma Iahvè risponde che sarà lui a costruire una casa a Davide (V. 11b). Dio non rifiuta il tempio, ma afferma che l’avvenire del popolo e della dinastia poggerà più sull’alleanza tra Dio e l’uomo che non sul tempio stesso. La reciproca fedeltà fra Dio e l’uomo sarà più importante dei sacrifici del tempio.

Per molto tempo il termine «chiesa» ha significato soltanto un edificio e per molti un luogo da visitare per dovere o per convenzione. «Che cosa mai possono ancora essere queste chiese, se non le tombe ed i monumenti sepolcrali di Dio?» (Nietzsche). Oggi molto è cambiato, ma non è pienamente superata l’idea di una Chiesa che si trincera in potenti « cittadelle di Dio», invece di aprirsi al dialogo e alle relazioni. «Dio non abita in templi costruiti da mano d’uomo» (At 17,24); Dio pone la sua dimora non in edifici, ma negli uomini: «Non sapete che voi siete tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in voi?» (1 Cor 3,16).

Tuttavia l’edificio ecclesiale ha un senso: è uno spazio dove i fedeli si riuniscono per incontrare il Signore e incontrarsi nel Signore. «Il segno del tempio ricapitola ed esprime.., i vari momenti e modi della presenza di Dio in mezzo agli uomini... E il segno visibile dell’unico vero tempio che è il corpo personale di Cristo e il suo corpo mistico, la Chiesa...» (Rito della dedicazione della chiesa, presentazione). E’ dunque un luogo sacro non perché sono sacre le pietre materiali che lo compongono, ma perché sono santi i cristiani che vi si radunano.

La dimora vivente
Dio pone la sua dimora fra gli uomini: le pietre che la costitui­scono sono quelli dei «sì» incondizionato a Dio; Maria ne è la prima pietra viva. Poi Giuseppe, la cui disponibilità al piano di Dio assicurerà al bimbo che nascerà da Maria la discendenza regale dalla stirpe di Davide.

Per il «sì» di persone così umili, povere, attente alla volontà di Dio, Gesù, figlio di Davide, entra nella storia del mondo. Questa è la sua casa, il suo tempio. (CC Salesiano)

Dal «Commento di San Luca» di san Beda il Venerabile, sacerdote.
(1, 46-55; CCL 120, 37-39)

«Maria disse: L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore» (Lc 1, 46). Dice: il Signore mi ha innalzato con un dono così grande e così inaudito che non è possibile esprimerlo con nessun linguaggio: a stento lo può comprendere il cuore nel profondo. Levo quindi un inno di ringraziamento con tutte le forze della mia anima e mi do, con tutto quello che vivo e sento e comprendo, alla contemplazione della grandezza senza fine di Dio, poiché il mio spirito si allieta della eterna divinità di quel medesimo Gesù, cioè del Salvatore, di cui il mio seno è reso fecondo con una concezione temporale.

Perché ha fatto in me cose grandi l'Onnipotente, e santo è il suo nome (cfr. Lc 1, 49). Si ripensi all'inizio del cantico dove è detto: «L'anima mia magnifica il Signore». Davvero solo quell'anima a cui il Signore si è degnato di fare grandi cose può magnificarlo con lode degna ed esortare quanti sono partecipi della medesima promessa e del medesimo disegno di salvezza: Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome (cfr. Sal 33, 4). Chi trascurerà di magnificare, per quanto sta in lui, il Signore che ha conosciuto e di santificare il nome, «sarà considerato il minimo nel regno dei cieli» (Mt 5, 19).

Il suo nome poi è detto santo perché con il fastigio della sua singolare potenza trascende ogni creatura ed è di gran lunga al di là di tutto quello che ha fatto.

«Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia» (Lc 1, 54). Assai bene dice Israele servo del Signore, cioè ubbidiente e umile, perché da lui fu accolto per essere salvato, secondo quanto dice Osea: Israele è mio servo e io l'ho amato (cfr. Os 11, 1). Colui infatti che disdegna di umiliarsi non può certo essere salvato né dire con il profeta: «Ecco, Dio è il mio aiuto, il Signore mi sostiene» (Sal 53, 6) e: «Chiunque diventerà piccolo come un bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli» (cfr. Mt 18, 4).

«Come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre» (Lc 1, 55). Si intende la discendenza spirituale, non carnale, di Abramo; sono compresi, cioè, non solo i generati secondo la carne, ma anche coloro che hanno seguito le orme della sua fede, sia nella circoncisione sia nell'incirconcisione. Anche lui credette quando non era circonciso, e gli fu ascritto a giustizia. La venuta del Salvatore fu promessa ad Abramo e alla sua discendenza, cioè ai figli della promessa, ai quali è detto: «Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa» (Gal 3, 29). E' da rivelare poi che le madri, quella del Signore e quella di Giovanni, prevengono profetando la nascita dei figli: e questo è bene perché come il peccato ebbe inizio da una donna, così da donne comincino anche i benefici, e come il mondo ebbe la morte per l'inganno di una donna, così da due donne, che a gara profetizzano, gli sia restituita la vita.